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Questo blog è pensato come ausilio alla didattica e strumento di comunicazione con gli studenti di "Storia e tecnica della danza e del teatro", "Discipline dello spettacolo" (LM 49- 65), "Metodologia della rappresentazione teatrale" (L-15, vecchio ordinamento), "Laboratorio di danza", "Storia e tecnica della scenografia" (L-3, a.a. 2011-2012), (Metodologia e critica dello spettacolo, L-3, a.a. 2012-2013) Università di Messina. Si consiglia agli studenti di iscriversi, inserendo la propria mail, per ricevere in maniera diretta e immediata tutti gli avvisi della docente.

giovedì 1 dicembre 2011

Appunti "Storia e tecnica della danza e del teatro", "Metodologia della rappresentazione teatrale", 30/11/2011

Come anticipato, avendo dispensato alcuni studenti dalla frequenza della lezione di ieri, 30 nov. 2011, per potere risolvere il problema di una sovrapposizione, inserisco ora nel blog gli appunti della lezione. In caso di difficoltà nella comprensione dei contenuti degli appunti, invito gli studenti che erano assenti a pormi delle domande alla prossima lezione, lun. 5 dicembre.



L-3/ L-15
Lezione n. 3
30 novembre 2011

Abbiamo esperito ieri, attraverso la breve attività laboratoriale condotta a lezione, la stratificazione di scrittura del e sul corpo, che interviene sempre nella comunicazione con un osservatore.
Chiariamo ora i nodi concettuali, cui l’esperienza pratica ci ha già avvicinato.

Prendiamo spunto dalla distinzione che Alessandro Pontremoli pone in La danza. Storia, teoria, estetica nel Novecento (Laterza, Roma-Bari, 2004). L’autore spiega, infatti, nella sua prefazione al testo, come ogni corpo danzante sia sempre un corpo sociale:

"ogni forma di danza è legittimata, in primo luogo, dal fatto di rappresentare sempre una risposta a una precisa istanza culturale che intenda comunicarsi agli altri; in secondo luogo perchè è specchio della società che la produce. Il corpo che danza, oltre a rivelare se stesso e la persona di cui è incarnazione, nella sua immediatezza si presenta come un corpo sociale, un corpo, cioè, che appartiene a una società ben identificabile, cui deve le sue forme e le sue deformazioni". (p. VII)

Per facilitare la comprensione di un fenomeno che si presenta sempre in maniera unitaria, potremmo quindi distinguere ciò che il corpo fa (che Pontremoli chiama, appunto scrittura del corpo con riferimento a gesti, espressioni, movimenti, ecc) da ciò che il corpo è. Anche l'essere del corpo, se il ragionamento fila, è in fondo una sorta di costruzione: esistono ovviamente dei caratteri biologici, ma proviamo a guardare immagini di corpi di periodi ed epoche diverse e vi riscontreremo una varietà infinita di corpi, che sono appunto uno specchio del loro tempo storico e sociale. Oltre alla scrittura del corpo, c'è anche una scrittura sul corpo, dalla depilazione, al trucco al piercing, alla dieta, ecc...

Entrambi questi aspetti contribuiscono all'immagine del corpo nella sua interezza e rientrano (sebbene, talvolta, non tutti in maniera esplicita) nelle premesse poetiche degli artisti.

Dove si colloca la "tecnica di danza e di teatro" in tutto questo?
Per certi versi, la tecnica comprende entrambe le scritture: è una scrittura sul corpo, come si evince guardando corpi addestrati a tecniche diverse (dai piedi “a papera” che in molti avranno riconosciuto alle ballerine classiche, alle schiene muscolose di danzatori di danza contemporanea, ecc...), e una scrittura del corpo, laddove il bagaglio tecnico inscritto nel corpo è usato per muoversi nello spazio, per le evoluzioni dinamiche, ecc… La varietà nelle forme di danza si mostra, spesso, a partire, in primo luogo, dalla "deformazione" imposta al corpo e, in secondo luogo, dalla stessa codificazione dei passi. Similmente, le scelte estetiche di un artista dipendono anche dall'accettazione parziale o totale di "scuole" già esistenti, dalla ricerca di nuovi linguaggi e, talvolta, dal rifiuto in toto di una precisa e definita scrittura sul corpo.

In generale, possiamo riassumere dicendo che, tradizionalmente, la tecnica è intesa come l’insieme di due elementi: un training specifico e originale, che prepara il corpo all’esecuzione di movimenti, finalizzati a ottenere dal corpo stesso certi risultati formali; un paradigma di azioni fisiche che permette la realizzazione di quei medesimi movimenti.

Questa distinzione richiama il concetto di doppia articolazione che Marco De Marinis spiega, riferendosi a teatro, mimo e danza, in In cerca dell’attore. Un bilancio del Novecento teatrale (Bulzoni, Roma, 2000) e di cui avremo modo di parlare.

Per approfondire la comprensione del concetto e dei principi della tecnica corporea, ricorriamo all’Antropologia teatrale, cui abbiamo accennato nel corso della seconda lezione .

Appunti di Antropologia Teatrale:

Comportamento quotidiano vs comportamento extraquotidiano

Per costruire il proprio bios scenico, ovvero la vita sulla scena, l’attore necessita di una tecnica: negando il comportamento quotidiano, l’attore usa un comportamento extra-quotidiano. È la tecnica che distingue il comportamento quotidiano da quello extraquotidiano. Una transizione/trasformazione/passaggio da un comportamento che non attira l’attenzione ad uno che possa attrarla.

Tecnica di inculturazione vs tecnica di acculturazione

Esistono due vie per raggiungere un comportamento extraquotidiano: 1) usare il comportamento quotidiano, variandolo, dandogli diverse tonalità (tecnica di inculturazione: processo che ogni individuo subisce nel momento in cui è nato e comincia ad assorbire la propria cultura, organicamente, assorbendo in maniera graduale la tradizione del proprio ambiente). Tutti siamo inculturati. Partendo da questa spontaneità di riflessi condizionati, l’attore cerca di variare. Una tecnica è quella del “se magico” di Stanislavskij, per cui partendo da uno stimolo mentale, modifico le mie azioni, con microcambiamenti; 2) rifiuto del comportamento quotidiano e costruzione di un analogo comportamento, ovvero un corpo analogo. Non cerco di variare il comportamento quotidiano, ma cambia totalmente il comportamento: da come sto in piedi, a come tengo le ginocchia, a come guardo. I teatri orientali tradizionali offrono un esempio di tecniche di acculturazione.

QUESTO DISCORSO CI AIUTA A CAPIRE LA LOGICA CHE C’è DIETRO AI CAMBIAMENTI DI IMPOSTAZIONE CORPOREA, DIETRO ALLA COSTRUZIONE CORPOREA, POI LE TECNICHE POSSONO ESSERE E SONO DIVERSE.

Livello espressivo e pre-espressivo

Nell’immobilità come nella dinamica, avviene un’alterazione della presenza ad un livello che possiamo chiamare, usando i termini dell’Antropologia Teatrale, pre-espressivo.

Ne dà una spiegazione Eugenio Barba in La canoa di carta, cit., pp. 158-159:

"Il pre-espressivo non esiste come materia a sé stante. Anche il sistema nervoso, per esempio, non può essere materialmente separato dall’insieme di un organismo vivente, ma può essere pensato in modo a sé stante. Questa finzione conoscitiva permette interventi efficaci. Si tratta di un’astrazione – ma estremamente utile per operare sul piano pratico.
Come e perché? Tenterò di rispondere a queste domande. Prima, però, occorre scavalcare alcuni malintesi.
Quando si parla del livello pre-espressivo dell’attore, sorge spesso l’obiezione: è impossibile che un attore agisca davanti a uno spettatore senza che si producano significati. È vero. È materialmente impossibile impedire allo spettatore di attribuire significati e di immaginare storie vedendo le azioni di un attore, anche quando queste azioni non vogliono rappresentare nulla. Tutto questo vale, però, dal punto di vista dello spettatore, cioè quando si osservano i risultati.
[…]
Poniamoci ora dal punto di vista complementare a quello del risultato, cioè dal punto di vista del processo creativo dell’attore. È evidente che l’attore può lavorare le sue azioni (dizione, tonalità, portamento, volume, distanze, intensità) senza pensare a ciò che vorrà trasmettere allo spettatore una volta terminato il processo. Diremo allora che lavora a livello pre-espressivo".

RICAPITOLANDO, utilizziamo l’Antropologia teatrale per distinguere:
livello espressivo vs livello pre-espressivo
comportamento quotidiano vs comportamento extra-quotidiano
tecniche di inculturazione vs tecniche di acculturazione

ATTENZIONE, guardando alla danza occidentale, questi concetti sono particolarmente utili per spiegare le forme di danza codificate, quali il balletto e la modern dance. Il passaggio alla postmodern dance, a metà del Novecento, impone una rivisitazione di questi concetti. Anche di questo si parlerà nelle lezioni a venire. Questi appunti servono dunque da premessa, perché consentono di interpretare e analizzare diverse tipologie di corpi danzanti, ma vanno sempre ripensati in relazione alle tecniche e agli stili presi effettivamente in considerazione.

Sebbene tutte le sperimentazioni siano almeno in parte aperte, nel momento in cui si stabilizzano, si pone una chiara differenza tra quelle che prevedono una codificazione della tecnica (che viene impartita in maniera normativa) e quelle che invece mirano alla formazione di un sapere tecnico che non produce delle forme codificate standardizzate.
Distinguiamo dunque tecniche specializzate da tecniche trasversali, per cui, in quest’ultimo caso, il danzatore-attore apprende dei principi che lo preparano a diversi stili.
Questa differenza ci servirà nel nostro excursus storico sui coreografi. Enunciata oggi, verrà ulteriormente spiegata nelle prossime lezioni a partire da esempi concreti.

In entrambi i casi, comunque, va sottolineato come l’obiettivo sia quello di arrivare ad una presenza scenica efficace, a un “corpo deciso”, ma la maniera di farlo è del tutto diversa tra questi due approcci tecnici e, dunque, diversi sono i metodi di insegnamento e di apprendimento.

Anche la costruzione di un modello estetico ha, infatti, delle conseguenze a livello formativo, poiché distingue chi può aspirare ad arrivare ad un livello di alta professionalità, specializzandosi in una tecnica, e chi invece non ha delle qualità fisiche idonee per quella stessa tecnica. E, tuttavia, lo stesso balletto, restando all’ambito del teatro di danza occidentale, è cambiato molto, particolarmente nel Novecento, e ci sono compagnie composte da corpi estremamente eterogenei. Non è così per le scuole ufficiali più importanti (come l’Opera di Parigi), ma è un dato di fatto, se si osservano le compagnie teatrali esistenti.
La tecnica ha, però, un impatto nella costruzione dell’immagine ideale dei corpi, anche a prescindere dalle eccezioni che si possono riscontrare nella realtà. E ogni tecnica, riprendendo quanto detto prima a proposito del corpo sociale, riflette in quale modo l’epoca in cui nasce, modificandosi in parte al variare del tempo. Alla base, la tecnica accademica impone un modello uniformante, diversamente da quanto accade, per esempio, negli ultimi decenni del secolo scorso, con una tecnica ormai molto diffusa, quale la contact improvisation, figlia dei moti democratici degli anni Sessanta. Lavorando con principi trasversali sull’improvvisazione che nasce dal contatto, piuttosto che su un modello nitido, questa pratica di danza ha infatti consentito a molte persone di diversa corporeità e abilità fisica di avvicinarsi alla danza. La danza affiora, nella contact improvisation, dal contatto e dall’incontro tra persone diverse e non dall’approssimazione ad un modello ideale di armonia fisica.

Facciamo ora un ulteriore passo nell’accostamento dei principi dell’Antropologia teatrale alle tecniche di danza e di teatro.

L’Antropologia Teatrale, nello specifico, individua tre principi che consentono di trasformare il corpo in extra-quotidiano, grazie all’ausilio della tecnica:
1) l’equilibrio di lusso, un equilibrio instabile dato dalla modificazione della postura e nella maggior parte dei casi dal cambiamento nella posizione dei piedi. (Si pensi all’uso della scarpetta da punta nel balletto classico, ma anche ai piedi del danzatore Kathakali indiano, con l’alluce sollevato).
2) Il principio dell’opposizione, per cui si creano delle tensioni nel corpo che ne amplificano la presenza.
3) Il principio dell’omissione, per cui si mettono in evidenza determinate qualità e non altre. (Per esempio, la leggerezza nel balletto, senza che si veda la fatica).

Questi sono principi pragmatici, che servono al danzatore-attore a raggiungere una presenza scenica efficace e che ritornano in forme teatrali orientali e occidentali, attraverso tecniche di inculturazione o di acculturazione. Agiscono, a livello pre-espressivo, pur modificando, chiaramente, anche la percezione esterna del corpo in movimento. Agiscono inoltre sin dalla postura del danzatore, prima ancora che egli inizi a muoversi.

Questi principi sono inoltre il frutto di una costante e approfondita osservazione fatta da Eugenio Barba a confronto con forme di teatro-danza di svariati paesi. Eppure, va rilevata una difformità di alcune pratiche contemporanee di danza rispetto all’uso di questi principi.
L’idea di fondo di Barba, che in moltissimi casi è confermata, è che nella vita quotidiana ci si muova cercando di fare meno sforzo possibile, mentre sulla scena c’è uno spreco di energia (dovuto particolarmente alle tensioni messe in atto dall’equilibrio di lusso e dal principio dell’opposizione). Ciò è, per esempio, vero per il balletto e per molte tecniche di danza moderna. Esistono, ad ogni modo, delle tecniche (come il release, ma anche la contact improvisation) il cui principio sostanziale è la sottrazione, per cui si cerca di spogliare il corpo dalle tensioni in eccesso (che tutti abbiamo e incorporiamo anche a partire dalla nostra personalità, dal contesto sociale, dalle inibizioni che sviluppiamo crescendo), per arrivare ad una massima funzionalità e agio nel movimento. Questa differenza, che è bene conoscere, non toglie però valore alle affermazioni di Barba, che restano estremamente utili per l’analisi del corpo in scena e valide in una grande maggioranza di casi.

Guardando alla pratica attorica dal punto di vista del processo, molte sono dunque le domande che si pone Barba e che ci aiutano a capire e vedere di più della natura del movimento e della trasformazione del danzatore-attore. Ci aiutano a capire un po’ del segreto dell’attore. In fondo, ci aiutano a riflettere anche su forme di danza e di teatro che non sono prive di fascino, ma che non si uniformano pienamente a questi principi, perché ci offrono un termine di confronto, dal quale partire per individuare possibili differenze.

Ci dicono tutto questo e così ci consentono di immaginare parte di quel percorso tortuoso e sorprendente che compie l’artista alle prese con gli arnesi del proprio mestiere quotidiano. Sono elementi che riguardano la polvere del teatro e non quel bagliore di luce che viene dalla visione o allucinazione che induce l’artista alla creazione, ma sono quegli elementi “terra terra” sui quali si regge la possibilità stessa per quella visione di farsi realtà.

"Storia e tecnica della danza e del teatro" -correzione orario della lezione del mercoledì

La lezione del mercoledì è dalle 11.00 alle 14.00 e non dalle 11.00 alle 13.00, come erroneamente indicato nel post precedente. Poi si terrà conto della lezione immediatamente successiva, perché possa esserci comunque una pausa tra le due.

lunedì 28 novembre 2011

Metodologia della rappresentazione teatrale

Gli studenti di "Metodologia della rappresentazione teatrale" da 5 cfu (L-15, vecchio ordinamento) che intendono frequentare il corso devono seguire solo la prima settimana di lezione (28/30 novembre) e l'ultima (9/11 gennaio). La bibliografia d'esame sarà indicata tra breve su questo blog e sulla bacheca docente del sito di Scienze della Formazione.

domenica 27 novembre 2011

Incontro con Raffaele Laudani, Università di Bologna




Due, tre, molte Antigoni.
Tragedia e beffa della disobbedienza greca

Raffaele Laudani (Università di Bologna)
Martedi 6 dicembre, ore 9.00
Aula Multimediale, Villa Pace, Messina