Presentazione del sito

Questo blog è pensato come ausilio alla didattica e strumento di comunicazione con gli studenti di "Storia e tecnica della danza e del teatro", "Discipline dello spettacolo" (LM 49- 65), "Metodologia della rappresentazione teatrale" (L-15, vecchio ordinamento), "Laboratorio di danza", "Storia e tecnica della scenografia" (L-3, a.a. 2011-2012), (Metodologia e critica dello spettacolo, L-3, a.a. 2012-2013) Università di Messina. Si consiglia agli studenti di iscriversi, inserendo la propria mail, per ricevere in maniera diretta e immediata tutti gli avvisi della docente.

sabato 31 dicembre 2011

testo d'esame sui "Movimenti Urbani"

Gli studenti che trovassero difficoltà a reperire il testo il libreria, possono tranquillamente ordinarlo via internet al sito della casa editrice, http://www.editoriaespettacolo.it/, andando alla voce ordini e scorrendo la lista fino al titolo in questione.

venerdì 23 dicembre 2011

materiali integrativi "Storia e tecnica della danza e del teatro"


Corso: Storia e tecnica della danza e del teatro (laurea triennale)
Inserisco di seguito alcune citazioni. Queste NON sostituiscono gli appunti presi a lezione individualmente dagli studenti frequentanti. Li integrano, consentendo agli studenti FREQUENTANTI di puntualizzare alcuni passaggi trattati a lezione.


Alvin Ailey. Note introduttive[1].
 di Rossella Mazzaglia



Joe Nash, storico della black dance, nel ricordare la data di nascita di Alvin Ailey, il 1931, sottolinea come questo stesso anno segni l’ingresso dei neri nel mondo della danza moderna, esemplificato dalla presenza di Katherine Dunham a Chicago e di Hesley Winfield a New York. In particolare, egli annota come prima di allora gli afro-americani fossero visti esclusivamente come entertainers dalle strabilianti capacità fisiche, ma privi di una filosofia propria, in altri termini di una cultura cui dar voce. (157) Il riferimento non è ovviamente alle forme popolari di canto, musica e ballo, ma al loro riconoscimento teatrale da parte di un mainstream culturale esclusivamente bianco. In realtà, se parlare genericamente di danza moderna significa trascurare la distinzione reale e implicita negli stessi presupposti dei coreografi afro-americani rispetto alle figure allora emergenti nella modern dance[2], è anche vero che il 1931 segna la manifestazione sul palco di una precisa volontà di costruire un genere di danza che rappresenti e dia dignità pubblica all’identità culturale della comunità afro-americana, allora detta “negra”.
Del 1931 è infatti il primo Negro Dance Recital americano, prodotto e con le coreografie di Hemsley Winfield ed Edna Guy. Questa iniziativa si pone in netta antitesi rispetto alla danza jazz e mira alla presentazione di una danza teatrale come arte, che conta, tra i suoi esponenti più conosciuti, la figura di Katherine Dunham[3]. Anche il lavoro di Alvin Ailey si colloca sulla scia di questa “negro dance”, danza negra, ma rappresenta al tempo stesso il passaggio ad un’epoca diversa dal punto di vista estetico e di apprezzamento pubblico e di critica.
Oltre che sul piano coreografico, la presenza fisica di corpi neri sulla scena dominante  di danza (moderna tra gli anni ’30 e ’60 e ancor più in ambito ballettistico fino alla seconda parte del XX secolo) è estremamente esigua e le maggiori possibilità per interpreti afro-americani riguardano per lo più i Musicals, dove la loro interpretazione rispecchia piuttosto una visione stereotipata del “nero”, una proiezione primitivistica del pubblico e dell’elite culturale bianca che si reca a teatro.
La questione non concerne, però, solo la presenza fisica dei corpi, ma la costruzione sociale dell’identità nera rispetto all’identità dominante (e pertanto privilegiata) bianca. L’opera di Ailey va quindi letta sia alla luce degli sviluppi della modern dance, da cui attinge parte del suo eclettico linguaggio, e del paradigma culturale della comunità e della danza afro-americana  a quel tempo ancora nominata “negro dance”. Se si è infatti soliti guardare alla storia della danza del XX secolo come ad una serie di rivolte da una generazione all’altra[4], le rotture che alimentano le diverse estetiche con cui nel tempo si sono espressi i coreografi afro-americani nascono, comunque, da un importante sostrato culturale, che – rispetto alla controparte ‘bianca’- mostra maggiori riconoscibilità di temi e continuità[5].

Alvin Ailey cresce nel Sud degli Stati Uniti, dove una carriera per un danzatore nero appare come un’impresa quasi inaudita, cui lui stesso all’inizio non crede veramente. Solo verso la fine degli anni ’40, dopo avere visto la compagnia della Dunham, cambierà idea, avviando al tempo stesso il suo percorso di danzatore e, presto, di coreografo.
L’ambiente sociale e il periodo storico in cui l’uomo Ailey si forma incidono profondamente sulla sua visione e pratica di danza. Ailey vive prima in Texas e poi California all’epoca della segregazione razziale. Sebbene l’apice del terrore del Ku Klux Klan[6] risalga alla metà degli anni 20, non si smorza la sua azione nel decennio successivo e storie di linciaggi e omicidi di neri nel sud del paese giungono alle orecchie anche dei più giovani. Laddove la violenza non è manifesta, la separazione ed il senso di inferiorità indotto sulla popolazione di colore è invece regola sociale. Nonostante infatti la legislazione americana vietasse forme di discriminazione, concretamente questa rappresentava la prassi, contro cui si sarebbero spinti i movimenti per i diritti civili a partire dalla metà degli anni 50, portando a dimensione di massa forme di resistenza e di ribellione culturale e politica fino ad allora poco visibili.
Segregazione significa dunque oppressione, esclusione e povertà, ma in molti casi, com’è nell’esempio di vita di Ailey, anche crescere all’interno di un universo culturale nettamente separato, senza contatti significativi, durante infanzia ed adolescenza, con la cultura bianca. Il capolavoro riconosciuto di Ailey, Revelations (1960) - innovatore rispetto alla precedente “danza negra” per l’ibridazione tecnica con gli stili di danza dominanti - affonda volutamente le sue radici proprio nella cultura degli afro-americani di cui si fa portavoce, celebrando la memoria di questi anni. La coreografia nasce dalla musica, da canzoni poetiche, di cui, spiega il coreografo, «il ritmo che viene fuori è ritmo nero. […] Le canzoni rappresentano anche l’unione di molte cose nella mia testa: dell’energia e dell’entusiasmo giovanili, della mia preoccupazione di proiettare appropriatamente l’immagine nera. Esse esprimono il mio legame affettivo alla terra del Texas; ri-creano la musica che sentivo dalle signore che in Texas vendevano mele mentre cantavano gli spirituals, memorie di canzoni che mia madre canticchiava per la casa e che io cantavo alle medie» (101).

Se la sua formazione di danzatore lo introduce alla danza teatrale bianca allora diffusa - dapprima con Lester Horton a Los Angeles, poi con i grandi nomi della danza moderna a New York[7] e con l’insegnante di tecnica classica Karel Shook - l’anima del lavoro di Ailey risiede dunque nella cultura nera, che sola gli consente di elaborare uno stile personale. In questo senso, la ricerca di una danza come fonte di espressione simbolica (che è facile fare risalire alla concezione di una danza come manifestazione di stati d’animo interiori, influenzata da Delsarte e condivisa tanto dalla prima quanto dalla seconda generazione della danza moderna americana, assorbita da Ailey già con le prime esperienze nella compagnia e nella scuola di Lester Horton) risiede anche nel movimento partecipato ed emozionale dei balli sociali e delle canzoni della comunità afro-americana, dagli spirituals al gospel al diffusissimo blues.
La sua intenzione di creare da sé e la mancanza di opportunità per danzatori neri nella New York della fine degli anni 50[8] lo spingono a formare un gruppo, anche se la stabilizzazione di una compagnia vera e propria tarderà ancora a venire per le limitate risorse economiche. Il gruppo è all’inizio composto di soli neri, ma presto subentrano - sebbene in numero esiguo - danzatori appartenenti ad altre culture. La volontà di affermazione di un’identità nera non passa, cioè, per Alvin Ailey, dalla separazione, ovvero non implica necessariamente l’esclusione dei bianchi. L’essere cresciuto come danzatore nella compagnia multirazziale del bianco Lester Horton, l’ha, in questo senso, formato ad una visione integrazionista, la stessa che nel 1963 Martin Luther King avrebbe espresso nel famoso discorso “I have a dream”, contrario a un panafricanismo o a un nazionalismo culturale[9]. Ciononostante, il protagonista della danza di Ailey è il corpo nero, di cui egli ammira il movimento e che merita dunque qualche possibilità in più di esibirsi, proprio per ovviare alle mancanze di opportunità cui prima si accennava. Questo corpo si fa portavoce di una cultura atavica, attingendo però da tutti gli elementi tecnici di danza a disposizione, all’interno di un repertorio di coreografie inedite per stile e messaggio.
Gli anni in cui si afferma Alvin Ailey sono gli stessi della svolta verso il formalismo e l’astrazione di Merce Cunningham e Alwin Nikolais, seguita dalla generazione di danzatori cosiddetti postmoderni, che hanno unito l’antipsicologismo di questi due padri con il rifiuto della tecnica di danza moderna. Eppure, la coreografia di Ailey conserva dei toni fortemente teatrali, nei costumi e nella caratterizzazione dei personaggi, mantiene un impianto narrativo e sfoggia un grande virtuosismo tecnico, seppure dato da un mélange di stili e generi e dalla capacità espressiva, in controtendenza dunque con l’avanguardia “bianca” del tempo.

Nel 1960, la prima di Revelations segna l’inizio dell’ascesa al riconoscimento pubblico, nazionale ed internazionale di Alvin Ailey. Ailey è giunto dal sud segregato da pochi anni e sente, in questo periodo, di dovere esprimere le “memorie di sangue” del suo passato, le sue radici nere, la sua identità culturale del sud. Lo fa dapprima con Blues Suite (1958) e poi con Revelations, una coreografia pertanto intima e personale, ma non solo.

Questioni sociali? Sì, m’interessa esprimere una presa di posizione sulla società perché sono un nero che è nato nella campagna, e la campagna era essenzialmente un luogo razzista. Così, Revelations è per certi versi una presa di posizione sulla società. La stessa idea di avere una compagnia costituita principalmente di danzatori neri è una presa di posizione sulla società. […] C’è anche una presa di posizione politica[10].

Le implicazioni estetiche e sociali di questa coreografia rispetto al tema del modernismo e al contesto più ampio della danza di quegli anni sono descritte dettagliatamente da Thomas DeFrantz[11].
Dal 1960 in poi, Revelations subisce continue revisioni fino ad attestarsi, nella sua forma definitiva, nel 1969. Tra gli elementi che cambiano, l’accompagnamento musicale, dapprima dal vivo, viene sostituito dalla registrazione degli spirituals. Anche la durata del pezzo, il numero dei danzatori e delle sezioni che costituiscono la coreografia mutano notevolmente, mentre permane il binomio tra astrazione modernista ed eredità culturale della comunità afro-americana. È, inoltre, comunque distinguibile una divisione tematica in tre parti: l’inizio nel dolore e nella prostrazione, quindi il rituale battesimale e, infine, l’esultazione riconducile alle cerimonie domenicali.
Susan Manning riassume in poche frasi il percorso di questa coreografia all’interno dell’ambiente di danza, rispetto al contesto della società e cultura americana nel tempo:

La prima di Revelations risale ad un momento in cui “danza moderna” e “danza negra” erano considerate delle categorie concettualmente distinte. La capacità di Ailey di stabilire un’interrelazione tra gli ideali di queste due pratiche colpì i suoi primi spettatori. Intorno al 1970, la “danza negra” lasciò il passo alla “danza nera”. Nel frattempo, la compagnia di Ailey si era istituzionalizzata come una delle principali compagnie statunitensi. Negli anni ’70 e ’80, Revelations simboleggiò le potenzialità della danza teatrale nera di teatralizzare l’estetica africanista. Dopo la morte di Ailey nel 1989, la “danza afro-americana” divenne d’uso comune, e i critici iniziarono ad accorgersi dell’ibridazione degli stili di movimento dispiegati in Revelations[12].


Annotazione terminologica

I diversi modi di nominare la danza afro-americana riflettono talvolta i diversi generi, ma sono anche, in alcuni casi, la conseguenza di un cambiamento nella società e negli studi di danza. Fino alla fine degli anni ’60 si parla di negro dance, danza negra, e solo in seguito ai movimenti sociali degli anni ’60, nella danza si propenderà per una denominazione degli sviluppi di quest’espressione artistica come black dance, danza nera, e black concert dance, danza teatrale nera. Successivamente, la diffusione di un linguaggio politically correct ha fatto sì che si diffondesse il termine oggi in uso di afro-americano. La successione cronologica di negro dance, black concert dance e African-American dance è solitamente considerata anche un indice del passaggio generazionale[13].










[1] I numeri tra parentesi all’interno del testo si riferiscono alle pagine dell’autobiografia Ailey Alvin, Revelations, A Birch Lane Dance Book, New York, 1995.
[2] Come Martha Graham e Doris Humphrey.
[3] Rappresentativa della fase precedente è, invece, per esempio Josephine Baker.
[4] Dalla prima generazione di danzatrici moderne (Duncan, St.Denis, Füller), alla seconda (soprattutto, Graham e Humphrey), all’avanguardia degli anni ’60 (in particolare, il Judson Dance Theater), che ha fatto parlare del passaggio dalla danza moderna alla danza post-moderna.
[5] Cfr. a tal proposito, Manning Susan, Modern Dance/Negro Dance, University of Minnesota Press, Minneapolis, 2004.
[6] Gruppo politico clandestino sviluppato soprattutto negli Stati Uniti del Sud dopo l’abolizione della schiavitù (1865) dedito al linciaggio della comunità afro-americana in nome della supremazia bianca.
[7] In particolare, studia sporadicamente con Hanya Holm, Anna Sokolow, Charles Weidman e con il New Dance Group.
[8] «Vero, Martha Graham usava danzatori neri –ricorda Ailey- in maniera incredibilmente creativa, ma a parte questo, la scena della danza teatrale newyorchese era fondamentalmente chiusa ai danzatori neri. Non c’era praticamente modo, per noi, di esaudire il desiderio impellente di partecipare pienamente al mondo della danza». (89)
[9] Come si accennava, anche gli esordi nella danza di Ailey, nel 1949, avvengono in un gruppo multiculturale, il Dance Theatre di Lester Horton a Los Angeles. Horton riprende danze americane, d’Asia e della diaspora africana, riunendole secondo un esotismo allora in voga. La sua coreografia è però comune al resto della danza moderna del tempo e di stampo narrativo. Alla morte di Horton, nel 1953, Ailey assume brevemente la direzione artistica della compagnia e il ruolo di coreografo, ma nel 1954 lascia Los Angeles per New York, dove si esibirà principalmente in Musicals e come attore, in ruoli però sempre stereotipati. Nel 1958, riunisce attorno a sé un gruppo di danzatori per il suo debutto newyorchese da coreografo alla 92nd Street Y. La prima di Revelations, sempre alla 92nd Street Y, è invece del 1960.
[10] Alvin Ailey nel video Four by Ailey, RMArts/Danmarks Radio Musikafdelingem, 1986.
[11] Si rimanda dunque al suo articolo nelle pagine successive della dispensa.
[12] Manning Susan, op.cit., 221.
[13] Cfr. Manning Susan, op.cit., XX-XXI.

materiali integrativi per frequentanti


Corso: Storia e tecnica della danza e del teatro (laurea triennale)
Inserisco di seguito alcune citazioni. Queste NON sostituiscono gli appunti presi a lezione individualmente dagli studenti frequentanti. Li integrano, consentendo agli studenti FREQUENTANTI di puntualizzare alcuni passaggi trattati a lezione.

L’ultima danza di Nijnskij
(Ne parla la moglie)


C'erano circa duecento persone radunate nella sala da ballo.
Vaslav entrò nel suo abito da prova, prese una sedia, si sedette di fronte agli spettatori e li fissò, come se volesse leggere il pensiero di ciascuno. Tutti aspettavano in silenzio, come in chiesa. Aspettavano… Il tempo passava. Dobbiamo essere rimasti in questo modo per circa mezz'ora. Il pubblico si comportava come se fosse ipnotizzato da Vaslav.
Finalmente mi avvicinai a lui. "Per favore, vorresti cominciare?" "Come osi disturbarmi! Non sono una macchina. Danzerò quando mi sento". Cercai disperatamente di non scoppiare a piangere. Non mi aveva mai parlato in questo modo e poi davanti a tutta quella gente!
Quando già pensavo di riportarlo a casa, prese dei rotoli di velluto bianco e nero e fece una croce attraverso tutta la lunghezza della sala. Vi si mise al sommo con le braccia spalancate, egli stesso una croce vivente. "Ora vi danzerò la guerra, con la sua sofferenza, con la sua distruzione, con la sua morte. La guerra che non avete prevenuto e di cui quindi siete anche voi responsabili". Era spaventoso.
La danza di Vaslav fu brillante e splendida come sempre, ma era diversa. Qualcosa mi ricordava vagamente quella scena di Petruska in cui la marionetta cerca di sfuggire al suo destino. Sembrava riempire la sala di umanità sofferente e terrorizzata. Era tragico: i suoi gesti erano tutti monumentali, e ci faceva cadere in uno stato di trance, in cui ci pareva di vederlo fluttuare sopra ai cadaveri. Il pubblico sedeva senza respirare, inorridito e stranamente affascinato. Sembravano pietrificati.
E lui danzava, danzava… Roteava attraverso lo spazio portando il pubblico via con sé alla guerra, alla distruzione, alla sofferenza e all'orrore, lottando coi suoi muscoli d'acciaio, la sua agilità, la sua luminosa velocità, il suo essere etereo, per sfuggire alla fine inevitabile. Era la danza della vita contro la morte.


Abbiamo poi la testimonianza dai Diari di Nijnskij:

Ho recitato con grande nervosismo. Mi sono comportato in questo modo di proposito, perché il pubblico mi capisce meglio quando vibro. Loro non capiscono gli artisti placidi. Bisogna essere nervosi. Dio voleva che il pubblico fosse in uno stato di eccitazione. Gli spettatori erano venuti per divertirsi e pensavano che io danzassi per farli divertire. Ma le mie danze incutevano spavento Loro avevano paura di me pensando che volessi ucciderli. Non era vero. Io amavo tutti ma nessuno amava me e io mi innervosii e mi eccitai; gli spettatori hanno colto il mio stato d'animo. Non gli piacevo, volevano andar via.
Ho sentito la presenza di Dio per tutta la sera. Lui mi amava. Io l'amavo. Eravamo sposi. In carrozza, mentre ci dirigevamo al Suvretta, ho detto a mia moglie che oggi era il giorno del mio matrimonio con Dio.


SAGRA DELLA PRIMAVERA (chi era assente a lezione, può trovarne estratti su youtube)

Il primo brano dell'ouverture fu ascoltato in mezzo al brusio e ben presto il pubblico cominciò a comportarsi, non come un dignitoso pubblico di Parigi, ma come un gruppo di ragazzini capricciosi e maleducati.
Presto l'eccitazione, gli urli, divennero assordanti. La gente fischiava, insultava i danzatori e il compositore, gridava, rideva.
Una signora splendidamente vestita in un palco di proscenio si alzò in piedi e schiaffeggiò un giovanotto che fischiava nel palco vicino. Il suo accompagnatore balzò in piedi e i due uomini si scambiarono i biglietti da visita. Ne seguì un duello il giorno dopo.
Un'altra dama di società sputò in faccia ad uno dei dimostranti. La principessa di P: lasciò il suo palco dicendo:"Io ho sessant'anni, ma questa è la prima volta che qualcuno ha avuto l'ardire di  prendermi in giro". A quel punto Diagilev, che era rimasto in piedi livido in un palco, gridò:"Per favore, lasciate finire lo spettacolo!". Ne seguì un acquietamento temporaneo, ma solo temporaneo. Appena il primo quadro fu finito gli strilli ricominciarono. 
Ero assordata da quell'indescrivibile baccano e corsi più in fretta che potevo tra le quinte. Lì era peggio che in sala. I danzatori tremavano, qualcuno piangeva, pensavano che non sarebbero mai tornati nei loro camerini.
Il secondo quadro cominciò, ma era impossibile sentire la musica. Io non potevo tornare al mio posto e l'eccitazione fra gli artisti che osservavano dalle quinte era enorme. Non riuscivo a raggiungere la porta del palcoscenico. Venivo spinta sempre di più tra le quinte.
Nijinskij batteva il ritmo con entrambi i pugni urlando: "Uno, due, tre" agli artisti. La musica non si sentiva dal palco e la sola cosa che guidava i ballerini era Nijinskij che contava dalle quinte. Il suo viso tremava per l'emozione. Io ero addolorata per lui, perché sapevo che quel balletto era una grande creazione. Il solo momento di distensione venne quando iniziò la danza dell'Eletta. Era di una tale indescrivibile forza, di una tale bellezza, che la sua condanna al sacrificio disarmò anche quel pubblico caotico. Dimenticarono di azzuffarsi.



martedì 20 dicembre 2011

programma Discipline dello spettacolo 5 cfu

Frequentanti: 
1) Perrelli Franco, "I maestri della ricerca teatrale, Il Living, Grotowski, Barba, Brook", Laterza, Roma-Bari, 2007
2) Dispensa di "Discipline dello spettacolo" (salvo la parte sul Tanztheater)
Non frequentanti:
1) Perrelli Franco, I maestri della ricerca teatrale, Il Living, Grotowski, Barba, Brook, Laterza, Roma-Bari, 2007
2) Dispensa di "Discipline dello spettacolo" (integralmente)
3) Sinisi Silvana, "Storia della danza occidentale. Dai greci a Pina Bausch", Carocci, Roma, 2005, pp.  201-206.

Dispense

Le dispense dei corsi di "Metodologia della rappresentazione teatrale" e "Discipline dello spettacolo" sono disponibili presso la copisteria Copy Center, Via Università, 4/6.

martedì 13 dicembre 2011

Programma d'esame - Metodologia della rappresentazione teatrale (5cfu)


1) Dispensa di “Metodologia della rappresentazione teatrale” (a.a. 2011-2012) a cura di Rossella Mazzaglia.
La dispensa è obbligatoria per frequentanti e non frequentanti e sarà disponibile dal 21 dicembre. Vi sarà data notizia sul blog dell’avvenuta consegna e conferma della copisteria in cui potete trovarla.

Per i frequentanti, UN libro a scelta tra:

1)    Movimenti Urbani (a cura di Massimo Carosi), Editoria e Spettacolo, Roma, in corso di stampa.
2)    Marco De Marinis, In cerca dell’attore, Bulzoni, Roma, 2000.

Questa scelta è data dai tempi di stampa del volume sui movimenti urbani, che consiglio vivamente ai frequentanti, perché attinente ai temi dell’ultima settimana di corso e della tavola rotonda. Il testo, che doveva ormai essere in commercio, è tuttavia ancora in corso di stampa.
Secondo quanto comunicatomi dall’editore, dovrebbe essere disponibile entro fine mese (se non prima), ma, qualora non lo fosse, potete facilmente recuperare il libro di Marco de Marinis, che è comunque un testo fondante della disciplina.

I non frequentanti non possono optare tra i due libri. Devono preparare la dispensa e il libro di Marco De Marinis, In cerca dell’attore, Bulzoni, Roma, 2000, che offre una panoramica del Novecento teatrale.

modalità d'esame

Cari studenti di tutti i miei corsi,
viste le continue richieste di chiarimento, preciso nuovamente quanto detto a lezione sulle modalità d'esame, affinché anche chi non era presente, possa esserne pienamente a conoscenza:

L'esame è scritto per tutti, senza distinzione di crediti.
Il giorno dello scritto vi comunicherò la data del colloquio/verbalizzazione.

Risultato dei compiti:

a) VOTO da 18 a 30L, che verrete a verbalizzare nella data comunicata il giorno dello scritto, SENZA colloquio.
Il voto non è sindacabile. Chi non è soddisfatto, può tuttavia scegliere di ripresentarsi e il voto non viene verbalizzato. (In questo caso, se si è sostenuto l'esame al primo appello di una sessione di tre, si potrà sostenere nuovamente lo scritto al terzo appello della stessa sessione o in una sessione d'esame successiva)

b) INSUFFICIENTE. Non siete passati e dovete rifare lo scritto, SENZA colloquio.

c) COLLOQUIO. Questo vuol dire che la valutazione dello scritto è incerta, perché ci sono dei passaggi dello scritto dai quali non si evince se avete capito o no e quanto siete preparati, in quanto vi siete espressi in maniera ambigua (ma non totalmente scorretta). In questo caso, vi farò delle domande a partire dallo scritto, per vedere il grado di comprensione, prima di assegnarvi un voto. Se dal colloquio, viene fuori che effettivamente non avevate capito e che non conoscete la materia, vi chiederò di ritornare (come nell'ipotesi b). Diversamente, vi darò un voto (come nell'ipotesi a).

Naturalmente, LA TERZA IPOTESI vale SOLO per quei compiti che, a mio parere, non sono giudicabili con chiarezza. Il colloquio non corrisponde ad un esame orale e non sostituisce lo scritto. Fa comunque fede lo scritto, che condiziona la valutazione, anche nei casi in cui si procede con un chiarimento in sede di colloquio.

Lo studente che, essendosi presentato allo scritto, ritiene di non sapere rispondere e NON CONSEGNA lo scritto, è come se non si fosse presentato. Può dunque ripresentarsi all'appello successivo. (Mentre se viene bocciato, nella sessione con tre appelli, deve saltare  il secondo, come già indicato).

DURATA DELLO SCRITTO: ho dato a tutti 3 ore di tempo. Questo è però il tempo massimo. Chi finisce prima, può andare. Naturalmente, per chi ne ha il tempo, è preferibile che ricopi in bella (le 3 ore servono anche a questo, per chi ce la fa).

LE DOMANDE SARANNO APERTE E NON A SCELTA MULTIPLA.

SPERO DI AVERE DISSOLTO OGNI VOSTRO DUBBIO.
FINE

lunedì 12 dicembre 2011

Promemoria: sede lezioni

Alla luce dei messaggi di posta elettronica ricevuti, ribadisco che le lezioni ormai si tengono alla sede centrale di Scienze della Formazione. Purtroppo, l'aula è incerta, ma comunque ci si ritrova alla centrale.

Storia e tecniche della danza e del teatro

La lezione odierna di Storia e tecniche della danza e del teatro delle ore 14 è posticipata alle 15. Si prega di diffondere la notizia tra gli studenti.

venerdì 9 dicembre 2011

Appelli

In fondo alla pagina del blog, trovate le date d'esame previste per la prima, la seconda e la terza sessione d'esame.

materiali integrativi agli appunti

Corso: Storia e tecnica della danza e del teatro (laurea triennale)
Inserisco di seguito alcune citazioni. Queste NON sostituiscono gli appunti presi a lezione individualmente dagli studenti frequentanti. Li integrano, consentendo agli studenti FREQUENTANTI di puntualizzare alcuni passaggi trattati a lezione.
Oltre a citazioni lette nelle lezioni scorse, inserisco di seguito anche altre citazioni che anticipano alcuni  temi che affronteremo nelle prossime lezioni.
Per la preparazione all'esame, si consiglia agli studenti frequentanti di stampare questi materiali e di affiancarli agli appunti e ai libri da studiare.
I non frequentanti possono non tenerne conto, in quanto da sole le citazioni non sono sufficienti (senza gli appunti presi a lezione) e sono comunque sostituite dalla bibliografia aggiuntiva prevista per non frequentanti (si veda la bibliografia d'esame riportata sul blog).


Lezioni sulla danza libera.

Ruth S. Denis, La danza come esperienza di vita (datazione incerta tra 1924 e 1925):

Fate largo alla danza! Vedrete se non vi ripagherà molte volte. Essa amplierà l’orizzonte, darà un senso a molte cose ora nascoste, nuova forza al sé, un nuovo valore all’esistenza./ Danzare come esperienza di vita non è qualcosa da prendere dall’esterno – qualcosa da imparare con fatica – o qualcosa da imitare. […] La nostra religione formale, le nostre città affollate, i nostri abiti, i nostri mezzi di trasporto, sono grandemente responsabili della massa di umanità inerte che fino a ieri era prigioniera di colletti e bustini. Ma stiamo cominciando a emergere, a liberarci, a chiedere uno spazio in cui pensare e danzare.

Loïe Fuller (1862-1928):
Che cosa è la danza? Movimento. Che cosa è il movimento? L’espressione di una sensazione. Che cosa è una sensazione? La reazione nel corpo umano prodotta da un’impressione o da un’idea percepita dalla mente… La mente funge da tramite e fa che le sensazioni siano riconquistate dal corpo… Per imprimere un’idea io mi sforzo, con i miei movimenti, di farla nascere nella mente dello spettatore, di svegliare la sua immaginazione, che possa essere pronta a ricevere l’immagine… (Loie Fuller, Fifteen Years of a Dancer’s Life, 1913)

Isadora Duncan, La danza del futuro (1928):

Se andiamo alla ricerca delle fonti della danza, se ci volgiamo alla natura, scopriamo che la danza del futuro è la danza del passato, la danza dell’eternità, e che è stata e sarà sempre la medesima.
Il moto delle onde, dei venti, della terra mantiene sempre la stessa armonia.
[…]
I movimenti dei selvaggi, che vivevano in libertà, costantemente a contatto con la natura, non erano sottoposti a restrizioni, erano naturali e belli. Solo i movimenti di un corpo nudo possono essere perfettamente naturali. L’Uomo, giunto al termine del processo di civilizzazione, deve tornare alla nudità, non alla nudità inconsapevole del selvaggio, ma alla nudità consapevole dell’uomo maturo il cui corpo sarà l’espressione armoniosa del suo essere spirituale.
[…]
Tutti i movimenti della moderna scuola del balletto sono movimenti sterili, perché innaturali: il loro scopo è quello di creare l’illusione che la legge della gravitazione non li riguardi.
I movimenti primari o fondamentali della nuova scuola della danza devono contenere in se stessi il seme dal quale si svilupperanno tutti gli altri movimenti, ciascuno a sua volta, per dar vita ad altri, in una sequenza di espressione di sempre più alti e più grandi pensieri e idee.
Per quelli che ciò nondimeno amano ancora quei movimenti per ragioni storiche o coreografiche o per qualunque altro tipo di ragioni, a quelli rispondo: “Non vedono al di là delle maglie e dei tutù”. Ma guardate – sotto le gonne e sotto le maglie stanno danzando muscoli deformati. Guardate ancora oltre – sotto i muscoli ci sono ossa deformate – Uno scheletro deformato vi sta danzando di fronte. Questa deformazione attraverso vestiti e movimenti sbagliati è il risultato della preparazione necessaria per il balletto.
[…]
Scoprire qui movimenti primari per il corpo da cui si svilupperanno i movimenti della danza del futuro in sequenze eternamente variabili naturali e infinite, questo è il compito della nuova danzatrice dei nostri tempi.
[…]
I Greci in tutta la loro pittura, scultura, architettura, letteratura, danza e tragedia hanno sviluppato le proprie linee dinamiche a partire da quelle della natura, e noi possiamo facilmente vederle espresse in tutte le raffigurazioni delle loro divinità che non essendo altro che il simbolo delle forze naturali, sono sempre rappresentate in una posa che esprime il combinarsi e lo svilupparsi di queste forze. Questo è il motivo per cui l’arte dei greci non esprime caratteristiche nazionali ma è stata e sarà l’arte di tutta l’umanità di tutti i tempi.
Perciò danzando nuda sulla superficie della terra è stato naturale che riprendessi le posizioni dei Greci, poiché le posizioni dei Greci sono semplicemente le posizioni di questa terra.
Ciò che c’è di più nobile nell’arte è il nudo. Questa verità è riconosciuta da ognuno e seguita da pittori, scultori e poeti; solo chi danza lo ha dimenticato, chi più di ogni altro avrebbe dovuto ricordarlo, poiché lo strumento della sua arte è proprio il corpo umano.
Il primo concetto di bellezza che l’uomo si è formato è derivato dalla forma e dalla simmetria del corpo umano. La nuova scuola della danza dovrebbe prendere le mosse da quel movimento che può armonizzare e che potrà sviluppare la forma più perfetta del corpo umano.
Ho intenzione di lavorare per questa danza del futuro.
[…]
Questa potrebbe sembrare una questione di poca importanza, un problema di opinioni diverse sul balletto e sulla nuova danza. Ma è una grossa questione, invece. Non è solo un problema di arte autentica, è un problema di razza, di evoluzione per le donne verso la bellezza e la salute, del ritorno alla forza originaria e al movimento naturale del corpo. È il problema dello sviluppo di madri dalla salute perfetta, perché i loro bimbi possono nascere sani e belli. L’indirizzo futuro della danza deve sviluppare e additare le proporzioni ideali della donna. Sarà, come già fu, il museo della bellezza vivente di un’epoca.
[…]
E qui voglio evitare un malinteso che può facilmente sorgere. Da ciò che ho detto potreste concludere che la mia intenzione sia di tornare alle danze degli antichi Greci, o che io pensi che la danza del futuro sarà una ripresa delle danze antiche, o addirittura di quelle delle tribù primitive. No, la danza futura sarà un nuovo movimento, una conseguenza dell’intera evoluzione attraverso la quale sarà passata l’umanità. Tornare alle danze dei Greci sarebbe tanto impossibile quanto inutile. Noi non siamo Greci e perciò non possiamo danzare come i Greci.
La danza del futuro, piuttosto, dovrà tornare ad essere un’arte profondamente religiosa, come fu presso i Greci. Poiché l’arte che non è religiosa non è arte ma pura merce di scambio.
La danzatrice del futuro sarà colei il cui corpo e la cui anima si sono sviluppati in accordo così armonioso che il naturale linguaggio di quell’anima sarà diventato il movimento del corpo. La danzatrice non apparterrà a una nazione ma a tutta l’umanità. Non danzerà in forma di ninfa né di fata né di moquette, ma in forma di donna nella sua espressione più alta e più pura. […] Ella danzerà la libertà della donna.
[…] Ella aiuterà le donne a conquistare una nuova consapevolezza della forza e della bellezza possibili per il loro corpo e del rapporto del loro corpo con la natura della terra e con i figli futuri. Ella danzerà il corpo che risorgerà da secoli di oblio civilizzato, che risorgerà non nella nudità dell’uomo primitivo ma in una nuova nudità, non più in guerra con la spiritualità e l’intelligenza ma congiunto ad essa in gloriosa armonia.
[…]
Oh, ella sta per giungere, la danzatrice del futuro: lo spirito libero che abiterà il corpo della donna nuova; più gloriosa di qualunque altra donna che sia esistita, più bella della donna egizia, e di quella greca, dell’antica italiana, di tutte le donne dei secoli trascorsi: l’intelligenza più alta nel corpo più libero.

Rudolph Laban su Isadora Duncan, Modern Educational Dance (1948):

Nel liberare il corpo del danzatore da un abbigliamento eccessivo che ostacolava il fluire del movimento, ella contribuì notevolmente al desiderio dell’uomo moderno di superare quel senso di autocensura riscontrabile nell’abitudine di nascondere il proprio corpo. La principale conquista della Duncan fu, tuttavia, quella di risvegliare una forma di danza espressiva che potremmo definire lirica, in contrasto con le forme prevalentemente drammatiche del balletto. Non c’era alcuna storia dietro le sue danze, che erano, come ella stessa le definiva, l’espressione della vita della sua “anima”.
La Duncan risvegliò il senso della poesia del movimento nell’uomo moderno. In un tempo in cui la scienza, e specialmente la psicologia, tentava di abolire radicalmente ogni nozione di “anima”, questa danzatrice ebbe il coraggio di dimostrare con successo che nel flusso del movimento umano esiste un qualche principio ordinatore che non può essere spiegato con le usuali modalità razionalistiche. Come educatrice, ciò che interessava in modo particolare la Duncan era l’influenza che una pratica continuativa di simili movimenti può avere sull’atteggiamento interiore ed esteriore dell’uomo verso la vita.
Il movimento, fino a quei tempi considerato – almeno nella nostra civiltà- al servizio dell’uomo e utilizzato per raggiungere uno scopo pratico esterno, rinacque come forza indipendente, creatrice di stati mentali spesso più forti della volontà stessa dell’uomo.
Si trattava di una scoperta abbastanza sconcertante in un momento in cui i risultati ottenuti attraverso la forza di volontà sembravano essere l’obiettivo preminente degli sforzi umani.


Lezioni sulla modern dance.

Martha Graham (1937):

Attraverso il tempo la danza non è cambiata in una sua funzione essenziale. La funzione della danza è la comunicazione. La responsabilità che la danza assolva a questa sua funzione ricade su di noi che danziamo oggi.
Per comprendere la danza per ciò che essa è, dobbiamo conoscere da dove proviene e dove è diretta. Vinee dalle profondità della natura dell’uomo, dall’inconscio dove abita la memoria. Come tale essa vive nel danzatore. Ed è diretta verso l’esperienza dell’uomo, dello spettatore, per risvegliare in lui analogie e ricordi.
L’arte è evocazione dell’intima natura dell’uomo. […] Stiamo attraversando un periodo di transizione dal pensiero del diciottesimo a quello del ventesimo secolo. Una nuova vitalità ci possiede. Certe profondità dell’intelletto stanno cominciando ad essere esplorate. La grande arte non ignora mai i valori umani. Lì affondano le sue radici. Questa è la ragione per cui le forme cambiano.
Nessuna forma d’arte può vivere e passare intatta attraverso un’epoca così vitale come quella che ora stiamo vivendo. L’uomo sta scoprendo se stesso come un mondo.
Tutte le azioni scaturiscono dalla necessità. Questa necessità è stata chiamata con vari nomi: ispirazione, motivazione, visione, genio. C’è una differenza di ispirazione nella danza, oggi.
[…]
L’allontanamento della danza dai suoi canoni classici e romantici non era un fine in se stesso, ma il mezzo per raggiungere un fine. […] Le vecchie forme non potevano dar voce all’uomo risvegliatosi. Dovevano subire una metamorfosi, in alcuni casi una distruzione, per servire come mezzo di espressione di un’epoca diversamente organizzata.
La danza moderna così come la conosciamo oggi è nata dopo la prima guerra mondiale. Questo periodo che seguiva la guerra esigeva forme vitali tali da abitare in un uomo nato a nuova vita. Per la nuova vitalità della coscienza sopraggiunse una alterazione del movimento… che è il mezzo della danza […].

Martha Graham, Piattaforma per la danza americana (da un programma di sala non datato, probabilmente degli anni ’30):
Una danza rivela lo spirito del paese in cui si radica. Deve innanzitutto riuscire in questo, per non perdere integrità e significato. […] La tecnica è un ingrediente necessario alla formazione del danzatore. Il danzatore americano potrebbe, ma non ha bisogno di recarsi all’estero per acquisire una tecnica di danza. Non deve andare ad apprendere una maniera e una forma aliena.
La danza moderna americana è iniziata qui. Qui deve restare e fiorire. […] Una danza americana non è una serie di passi. È infinitamente di più. È un ritmo caratteristico, una differente velocità, un accento netto e staccato. Il suo compito è di arricchire, illuminare e intensificare la scena americana. Quanto più avremo qualcosa di significativo da danzare, tanto più troveremo persone per cui danzare.
[…]
Di fronte al pubblico d’America, la danza americana ha un dovere. Non deve compiacerlo presentando una forma di danza decorativa e imitativa come prodotto di questo paese. La danza non è una facile soluzione per il divertimento leggero. Non è una forma d’arte effeminata.
Guardiamo alla danza per affermazione, per rendere lo spettatore più immediatamente cosciente del vigore, dell’umanità e della varietà della vita. Questa è la funzione della danza americana.

Martha Graham, A Modern Dancer’s Primer for Action:
L’allenamento e la tecnica sono strumenti per ottenere forza, libertà e spontaneità.

Dalla modern alla postmodern dance americana. Come utile rimando, si consideri il cambiamento in atto nel secondo dopoguerra in ambito letterario. Di seguito, le parole di Robbe-Grillet.

Ailan Robbe-Grillet, Una via per il romanzo futuro, a cura e con un saggio introduttivo di Renato Barilli, Milano, Rusconi e Paolazzi, 1961, pp. 38-41:

Ognuno può scorgere la natura del cambiamento che si è operato. Nel romanzo iniziale, gli oggetti e i gesti che formavano il tessuto dell’intreccio sparivano completamente, per lasciar posto al loro solo significato: la sedia non occupata non era più che un’assenza o un’attesa, la mano che si posa sulla spalla non era più che un attestato di simpatia, le sbarre della finestra non erano che l’impossibilità di uscire… Ed ecco che ora si vede la sedia, il movimento della mano, la forma delle sbarre. Il loro significato resta palese, ma, in luogo di accaparrare la nostra attenzione, è come dato in più; è di troppo, poiché ciò che ci colpisce, ciò che persiste nella nostra memoria, ciò che appare come essenziale e irriducibile a delle vaghe nozioni mentali, sono i gesti in se stessi, gli oggetti, gli spostamenti e i contorni, ai quali l’immagine ha restituito d’un sol colpo (senza volerlo) la loro realtà.
Può sembrar strano che questi frammenti di realtà bruta, che il racconto cinematografico non può impedirsi di consegnarci a sua insaputa, ci colpiscano a questo punto, laddove delle scene identiche, nella vita corrente, non sarebbero sufficienti a farci uscire dal nostro accecamento. Tutto si svolge in effetti come se le convenzioni della fotografia (le due dimensioni, il bianco e nero, l’inquadratura, le differenze di scala tra i piani) contribuissero a liberarci dalle nostre convenzioni. L’aspetto un po’ inusuale di quel mondo «riprodotto» ci rivela, nello stesso tempo, il carattere inusuale del mondo che ci circonda, inusuale anch’esso nella misura in cui si rifiuta di piegarsi alle nostre abitudini di apprensione e al nostro ordine.
In luogo di questo universo dei «significati» (psicologici, sociali, funzionali) occorrerebbe dunque tentare di costruire un mondo più solido, più immediato. Conviene che oggetti e gesti si impongano in primo luogo per la loro presenza, e che questa presenza continui in seguito a dominare, al di sopra di ogni teoria esplicativo che tenti di rinchiuderli in un qualche sistema di riferimento, sentimentale, sociologico, freudiano, metafisico, o altro.
In questo universo romanzesco futuro, gesti e oggetti saranno «là» prima di essere «qualcosa»; e saranno là anche dopo, duri, inalterabili, presenti per sempre e irridenti al loro proprio senso, che cerca invano di ridurli al ruolo di utensili precari, tra un passato informe e un avvenire indeterminato.
Così gli oggetti poco a poco perderanno la loro inconsistenza e i loro segreti, rinunceranno ai loro falsi misteri, a quella interiorità sospetta che Roland Barthes ha chiamato il «cuore romantico delle cose». Queste non saranno più il vago riflesso dell’anima vaga dell’eroe, l’immagine dei suoi tormenti, il sostegno dei suoi desideri.
[…]
Tutto ciò sembrerebbe forse molto teorico, molto illusorio, se per l’appunto qualcosa non fosse in procinto di cambiare – e anche in modo totale, senza dubbio definitivo, nei rapporti che noi intratteniamo con l’universo. Così intravediamo la risposta a questa domanda piena d’ironia: «Perché ora?». C’è oggi, in effetti, un elemento nuovo che ci separa questa volta radicalmente da Balzac, come da Gide o da Madame de La Fayette: è la destituzione dei vecchi miti della «profondità». Si sa che tutta la letteratura romanzesca si basava su di essi, solo su di essi. Il compito dello scrittore consisteva tradizionalmente nello scavare entro la Natura, nell’approfondirla, per raggiungere degli strati sempre più intimi e portare alla luce qualche briciola di un segreto preoccupante.

Yvonne Rainer, manifesto del 1965:

NO alla spettacolarità, al virtuosismo, alle trasformazioni, al magico e alla finzione, no al glamour e alla trascendenza dell'immagine della star, no all'eroico e all'anti-eroico, no alle immagini dozzinali, no al coinvolgimento del performer o dello spettatore, no allo stile, no al camp[1], no alla seduzione dello spettatore grazie alle astuzie del performer, no all'eccentricità, no al commuovere o al commuoversi.



[1] Per camp si intende una sensibilità votata all’artificiosità, al glamour, che sovverte il serio e lo tramuta in frivolo. Attribuita principalmente agli omosessuali, essa possiede una valenza politica, sminuita in passato e rivalutata dagli studi sul gender. (n.d.t.)

martedì 6 dicembre 2011

Sede delle lezioni

Per motivi logistici, tutte le lezioni della laurea triennale di "Storia e tecnica della danza e del teatro" e di "Metodologia della rappresentazione teatrale" sono spostate alla sede centrale. Domani, mercoledì 7 dicembre, la lezione sarà tenuta nell'Aula Magna. Successivamente, verrà indicata un'altra aula, ma SEMPRE ALLA SEDE CENTRALE.
Per quanto concerne le lezioni di "Discipline dello spettacolo" della laurea magistrale, lunedì 12 dicembre e lun. 9 gennaio, le lezioni saranno senz'altro alla sede centrale. Vi sarà comunicato a lezione e tramite il blog se anche le altre lezioni subiranno degli spostamenti, in base alla disponibilità delle aule. Fino ad altra comunicazione da parte mia, unicamente per gli studenti della magistrale, le lezioni del martedì e del mercoledì restano a Villa Pace.
SIETE PREGATI DI DIFFONDERE LA VOCE TRA I VOSTRI COLLEGHI, in modo da evitare spiacevoli inconvenienti a chi dovesse recarsi nella sede sbagliata.

giovedì 1 dicembre 2011

Appunti "Storia e tecnica della danza e del teatro", "Metodologia della rappresentazione teatrale", 30/11/2011

Come anticipato, avendo dispensato alcuni studenti dalla frequenza della lezione di ieri, 30 nov. 2011, per potere risolvere il problema di una sovrapposizione, inserisco ora nel blog gli appunti della lezione. In caso di difficoltà nella comprensione dei contenuti degli appunti, invito gli studenti che erano assenti a pormi delle domande alla prossima lezione, lun. 5 dicembre.



L-3/ L-15
Lezione n. 3
30 novembre 2011

Abbiamo esperito ieri, attraverso la breve attività laboratoriale condotta a lezione, la stratificazione di scrittura del e sul corpo, che interviene sempre nella comunicazione con un osservatore.
Chiariamo ora i nodi concettuali, cui l’esperienza pratica ci ha già avvicinato.

Prendiamo spunto dalla distinzione che Alessandro Pontremoli pone in La danza. Storia, teoria, estetica nel Novecento (Laterza, Roma-Bari, 2004). L’autore spiega, infatti, nella sua prefazione al testo, come ogni corpo danzante sia sempre un corpo sociale:

"ogni forma di danza è legittimata, in primo luogo, dal fatto di rappresentare sempre una risposta a una precisa istanza culturale che intenda comunicarsi agli altri; in secondo luogo perchè è specchio della società che la produce. Il corpo che danza, oltre a rivelare se stesso e la persona di cui è incarnazione, nella sua immediatezza si presenta come un corpo sociale, un corpo, cioè, che appartiene a una società ben identificabile, cui deve le sue forme e le sue deformazioni". (p. VII)

Per facilitare la comprensione di un fenomeno che si presenta sempre in maniera unitaria, potremmo quindi distinguere ciò che il corpo fa (che Pontremoli chiama, appunto scrittura del corpo con riferimento a gesti, espressioni, movimenti, ecc) da ciò che il corpo è. Anche l'essere del corpo, se il ragionamento fila, è in fondo una sorta di costruzione: esistono ovviamente dei caratteri biologici, ma proviamo a guardare immagini di corpi di periodi ed epoche diverse e vi riscontreremo una varietà infinita di corpi, che sono appunto uno specchio del loro tempo storico e sociale. Oltre alla scrittura del corpo, c'è anche una scrittura sul corpo, dalla depilazione, al trucco al piercing, alla dieta, ecc...

Entrambi questi aspetti contribuiscono all'immagine del corpo nella sua interezza e rientrano (sebbene, talvolta, non tutti in maniera esplicita) nelle premesse poetiche degli artisti.

Dove si colloca la "tecnica di danza e di teatro" in tutto questo?
Per certi versi, la tecnica comprende entrambe le scritture: è una scrittura sul corpo, come si evince guardando corpi addestrati a tecniche diverse (dai piedi “a papera” che in molti avranno riconosciuto alle ballerine classiche, alle schiene muscolose di danzatori di danza contemporanea, ecc...), e una scrittura del corpo, laddove il bagaglio tecnico inscritto nel corpo è usato per muoversi nello spazio, per le evoluzioni dinamiche, ecc… La varietà nelle forme di danza si mostra, spesso, a partire, in primo luogo, dalla "deformazione" imposta al corpo e, in secondo luogo, dalla stessa codificazione dei passi. Similmente, le scelte estetiche di un artista dipendono anche dall'accettazione parziale o totale di "scuole" già esistenti, dalla ricerca di nuovi linguaggi e, talvolta, dal rifiuto in toto di una precisa e definita scrittura sul corpo.

In generale, possiamo riassumere dicendo che, tradizionalmente, la tecnica è intesa come l’insieme di due elementi: un training specifico e originale, che prepara il corpo all’esecuzione di movimenti, finalizzati a ottenere dal corpo stesso certi risultati formali; un paradigma di azioni fisiche che permette la realizzazione di quei medesimi movimenti.

Questa distinzione richiama il concetto di doppia articolazione che Marco De Marinis spiega, riferendosi a teatro, mimo e danza, in In cerca dell’attore. Un bilancio del Novecento teatrale (Bulzoni, Roma, 2000) e di cui avremo modo di parlare.

Per approfondire la comprensione del concetto e dei principi della tecnica corporea, ricorriamo all’Antropologia teatrale, cui abbiamo accennato nel corso della seconda lezione .

Appunti di Antropologia Teatrale:

Comportamento quotidiano vs comportamento extraquotidiano

Per costruire il proprio bios scenico, ovvero la vita sulla scena, l’attore necessita di una tecnica: negando il comportamento quotidiano, l’attore usa un comportamento extra-quotidiano. È la tecnica che distingue il comportamento quotidiano da quello extraquotidiano. Una transizione/trasformazione/passaggio da un comportamento che non attira l’attenzione ad uno che possa attrarla.

Tecnica di inculturazione vs tecnica di acculturazione

Esistono due vie per raggiungere un comportamento extraquotidiano: 1) usare il comportamento quotidiano, variandolo, dandogli diverse tonalità (tecnica di inculturazione: processo che ogni individuo subisce nel momento in cui è nato e comincia ad assorbire la propria cultura, organicamente, assorbendo in maniera graduale la tradizione del proprio ambiente). Tutti siamo inculturati. Partendo da questa spontaneità di riflessi condizionati, l’attore cerca di variare. Una tecnica è quella del “se magico” di Stanislavskij, per cui partendo da uno stimolo mentale, modifico le mie azioni, con microcambiamenti; 2) rifiuto del comportamento quotidiano e costruzione di un analogo comportamento, ovvero un corpo analogo. Non cerco di variare il comportamento quotidiano, ma cambia totalmente il comportamento: da come sto in piedi, a come tengo le ginocchia, a come guardo. I teatri orientali tradizionali offrono un esempio di tecniche di acculturazione.

QUESTO DISCORSO CI AIUTA A CAPIRE LA LOGICA CHE C’è DIETRO AI CAMBIAMENTI DI IMPOSTAZIONE CORPOREA, DIETRO ALLA COSTRUZIONE CORPOREA, POI LE TECNICHE POSSONO ESSERE E SONO DIVERSE.

Livello espressivo e pre-espressivo

Nell’immobilità come nella dinamica, avviene un’alterazione della presenza ad un livello che possiamo chiamare, usando i termini dell’Antropologia Teatrale, pre-espressivo.

Ne dà una spiegazione Eugenio Barba in La canoa di carta, cit., pp. 158-159:

"Il pre-espressivo non esiste come materia a sé stante. Anche il sistema nervoso, per esempio, non può essere materialmente separato dall’insieme di un organismo vivente, ma può essere pensato in modo a sé stante. Questa finzione conoscitiva permette interventi efficaci. Si tratta di un’astrazione – ma estremamente utile per operare sul piano pratico.
Come e perché? Tenterò di rispondere a queste domande. Prima, però, occorre scavalcare alcuni malintesi.
Quando si parla del livello pre-espressivo dell’attore, sorge spesso l’obiezione: è impossibile che un attore agisca davanti a uno spettatore senza che si producano significati. È vero. È materialmente impossibile impedire allo spettatore di attribuire significati e di immaginare storie vedendo le azioni di un attore, anche quando queste azioni non vogliono rappresentare nulla. Tutto questo vale, però, dal punto di vista dello spettatore, cioè quando si osservano i risultati.
[…]
Poniamoci ora dal punto di vista complementare a quello del risultato, cioè dal punto di vista del processo creativo dell’attore. È evidente che l’attore può lavorare le sue azioni (dizione, tonalità, portamento, volume, distanze, intensità) senza pensare a ciò che vorrà trasmettere allo spettatore una volta terminato il processo. Diremo allora che lavora a livello pre-espressivo".

RICAPITOLANDO, utilizziamo l’Antropologia teatrale per distinguere:
livello espressivo vs livello pre-espressivo
comportamento quotidiano vs comportamento extra-quotidiano
tecniche di inculturazione vs tecniche di acculturazione

ATTENZIONE, guardando alla danza occidentale, questi concetti sono particolarmente utili per spiegare le forme di danza codificate, quali il balletto e la modern dance. Il passaggio alla postmodern dance, a metà del Novecento, impone una rivisitazione di questi concetti. Anche di questo si parlerà nelle lezioni a venire. Questi appunti servono dunque da premessa, perché consentono di interpretare e analizzare diverse tipologie di corpi danzanti, ma vanno sempre ripensati in relazione alle tecniche e agli stili presi effettivamente in considerazione.

Sebbene tutte le sperimentazioni siano almeno in parte aperte, nel momento in cui si stabilizzano, si pone una chiara differenza tra quelle che prevedono una codificazione della tecnica (che viene impartita in maniera normativa) e quelle che invece mirano alla formazione di un sapere tecnico che non produce delle forme codificate standardizzate.
Distinguiamo dunque tecniche specializzate da tecniche trasversali, per cui, in quest’ultimo caso, il danzatore-attore apprende dei principi che lo preparano a diversi stili.
Questa differenza ci servirà nel nostro excursus storico sui coreografi. Enunciata oggi, verrà ulteriormente spiegata nelle prossime lezioni a partire da esempi concreti.

In entrambi i casi, comunque, va sottolineato come l’obiettivo sia quello di arrivare ad una presenza scenica efficace, a un “corpo deciso”, ma la maniera di farlo è del tutto diversa tra questi due approcci tecnici e, dunque, diversi sono i metodi di insegnamento e di apprendimento.

Anche la costruzione di un modello estetico ha, infatti, delle conseguenze a livello formativo, poiché distingue chi può aspirare ad arrivare ad un livello di alta professionalità, specializzandosi in una tecnica, e chi invece non ha delle qualità fisiche idonee per quella stessa tecnica. E, tuttavia, lo stesso balletto, restando all’ambito del teatro di danza occidentale, è cambiato molto, particolarmente nel Novecento, e ci sono compagnie composte da corpi estremamente eterogenei. Non è così per le scuole ufficiali più importanti (come l’Opera di Parigi), ma è un dato di fatto, se si osservano le compagnie teatrali esistenti.
La tecnica ha, però, un impatto nella costruzione dell’immagine ideale dei corpi, anche a prescindere dalle eccezioni che si possono riscontrare nella realtà. E ogni tecnica, riprendendo quanto detto prima a proposito del corpo sociale, riflette in quale modo l’epoca in cui nasce, modificandosi in parte al variare del tempo. Alla base, la tecnica accademica impone un modello uniformante, diversamente da quanto accade, per esempio, negli ultimi decenni del secolo scorso, con una tecnica ormai molto diffusa, quale la contact improvisation, figlia dei moti democratici degli anni Sessanta. Lavorando con principi trasversali sull’improvvisazione che nasce dal contatto, piuttosto che su un modello nitido, questa pratica di danza ha infatti consentito a molte persone di diversa corporeità e abilità fisica di avvicinarsi alla danza. La danza affiora, nella contact improvisation, dal contatto e dall’incontro tra persone diverse e non dall’approssimazione ad un modello ideale di armonia fisica.

Facciamo ora un ulteriore passo nell’accostamento dei principi dell’Antropologia teatrale alle tecniche di danza e di teatro.

L’Antropologia Teatrale, nello specifico, individua tre principi che consentono di trasformare il corpo in extra-quotidiano, grazie all’ausilio della tecnica:
1) l’equilibrio di lusso, un equilibrio instabile dato dalla modificazione della postura e nella maggior parte dei casi dal cambiamento nella posizione dei piedi. (Si pensi all’uso della scarpetta da punta nel balletto classico, ma anche ai piedi del danzatore Kathakali indiano, con l’alluce sollevato).
2) Il principio dell’opposizione, per cui si creano delle tensioni nel corpo che ne amplificano la presenza.
3) Il principio dell’omissione, per cui si mettono in evidenza determinate qualità e non altre. (Per esempio, la leggerezza nel balletto, senza che si veda la fatica).

Questi sono principi pragmatici, che servono al danzatore-attore a raggiungere una presenza scenica efficace e che ritornano in forme teatrali orientali e occidentali, attraverso tecniche di inculturazione o di acculturazione. Agiscono, a livello pre-espressivo, pur modificando, chiaramente, anche la percezione esterna del corpo in movimento. Agiscono inoltre sin dalla postura del danzatore, prima ancora che egli inizi a muoversi.

Questi principi sono inoltre il frutto di una costante e approfondita osservazione fatta da Eugenio Barba a confronto con forme di teatro-danza di svariati paesi. Eppure, va rilevata una difformità di alcune pratiche contemporanee di danza rispetto all’uso di questi principi.
L’idea di fondo di Barba, che in moltissimi casi è confermata, è che nella vita quotidiana ci si muova cercando di fare meno sforzo possibile, mentre sulla scena c’è uno spreco di energia (dovuto particolarmente alle tensioni messe in atto dall’equilibrio di lusso e dal principio dell’opposizione). Ciò è, per esempio, vero per il balletto e per molte tecniche di danza moderna. Esistono, ad ogni modo, delle tecniche (come il release, ma anche la contact improvisation) il cui principio sostanziale è la sottrazione, per cui si cerca di spogliare il corpo dalle tensioni in eccesso (che tutti abbiamo e incorporiamo anche a partire dalla nostra personalità, dal contesto sociale, dalle inibizioni che sviluppiamo crescendo), per arrivare ad una massima funzionalità e agio nel movimento. Questa differenza, che è bene conoscere, non toglie però valore alle affermazioni di Barba, che restano estremamente utili per l’analisi del corpo in scena e valide in una grande maggioranza di casi.

Guardando alla pratica attorica dal punto di vista del processo, molte sono dunque le domande che si pone Barba e che ci aiutano a capire e vedere di più della natura del movimento e della trasformazione del danzatore-attore. Ci aiutano a capire un po’ del segreto dell’attore. In fondo, ci aiutano a riflettere anche su forme di danza e di teatro che non sono prive di fascino, ma che non si uniformano pienamente a questi principi, perché ci offrono un termine di confronto, dal quale partire per individuare possibili differenze.

Ci dicono tutto questo e così ci consentono di immaginare parte di quel percorso tortuoso e sorprendente che compie l’artista alle prese con gli arnesi del proprio mestiere quotidiano. Sono elementi che riguardano la polvere del teatro e non quel bagliore di luce che viene dalla visione o allucinazione che induce l’artista alla creazione, ma sono quegli elementi “terra terra” sui quali si regge la possibilità stessa per quella visione di farsi realtà.

"Storia e tecnica della danza e del teatro" -correzione orario della lezione del mercoledì

La lezione del mercoledì è dalle 11.00 alle 14.00 e non dalle 11.00 alle 13.00, come erroneamente indicato nel post precedente. Poi si terrà conto della lezione immediatamente successiva, perché possa esserci comunque una pausa tra le due.

lunedì 28 novembre 2011

Metodologia della rappresentazione teatrale

Gli studenti di "Metodologia della rappresentazione teatrale" da 5 cfu (L-15, vecchio ordinamento) che intendono frequentare il corso devono seguire solo la prima settimana di lezione (28/30 novembre) e l'ultima (9/11 gennaio). La bibliografia d'esame sarà indicata tra breve su questo blog e sulla bacheca docente del sito di Scienze della Formazione.

domenica 27 novembre 2011

Incontro con Raffaele Laudani, Università di Bologna




Due, tre, molte Antigoni.
Tragedia e beffa della disobbedienza greca

Raffaele Laudani (Università di Bologna)
Martedi 6 dicembre, ore 9.00
Aula Multimediale, Villa Pace, Messina